La stella polare sta (lentamente) scomparendo

L'Orsa Minore vista da una schermata di Stellarium, un software gratuito di simulazione del cielo notturno.
E' probabilmente la stella più famosa dell'intero cielo notturno, ha indicato per millenni la strada ai più intrepidi navigatori, ha affascinato centinaia di popoli, dagli antichi cinesi ai pellerossa d'America. Secondo la mitologia greca, l'aveva creata direttamente Zeus, dopo aver trasformato una sua amante terrestre in un orso per nasconderla alla moglie, e il figlio inconsciamente l'aveva uccisa durante una battuta di caccia. Tutti la cercano nella volta celeste, alcuni con esiti positivi; mentre altri falliscono nel tentativo di individuarlo. Fra qualche milione di anni, però, nessuno riuscirà più a vederla, neanche il più esperto osservatore. Perché? Perché sta scomparendo.
O, almeno, è quanto afferma un'analisi che ha considerato oltre 160 anni di osservazioni e che ha rivelato che la stella – formalmente nota come Polaris o α UMi – sta perdendo gli strati gassosi più esterni ad un ritmo vertiginoso, di circa una massa terrestre per anno. Nonostante ciò, alcuni membri della comunità scientifica hanno commentato che sono conclusioni affrettate, in quanto non sappiamo precisamente né l'età né lo stadio della stella.
La stella polare, in realtà, non è una stella. O, almeno, non è un'unica stella. Si tratta infatti di un sistema multiplo, più precisamente triplo, ossia composto da tre astri che orbitano attorno ad un comune baricentro. La sorgente di luce puntiforme che possiamo osservare nel cielo notturno è composta in gran parte dalla supergigante gialla Polaris A, una variabile Cefeide. Proprio per questa sua caratteristica, Polaris A pulsa, nel senso che diventa più luminosa, per poi diventare sempre più scura. Più precisamente, completa un ciclo in 3.97 giorni, variando la sua luminosità del 16% circa.
Mentre tutte le altre stelle ruotano nel cielo, la stella Polare è fissa (© immagine Wang Jinglei/ Jia Hao/NASA)
Quello che emerge dal nuovo studio è una discontinuità proprio in questa pulsazione. 168 anni fa, ossia nel 1844, questa pulsazione era più lenta di circa 12 minuti. A raccogliere i dati di questo anno e di quelli successivi è stato David Turner della St. Mary's University di Halifax, in Canada. Turner si è però fermato al 2004: a completare gli anni successivi ci ha pensato Hilding Neilson dell'Università tedesca di Bonn e il suo team di scienziati, alcuni dei quali osservatori amatoriali. Il loro contributo è stato prezioso per giungere alla conclusione che la pulsazione della stella varia di circa quattro secondi e mezzo all'anno.
Naturalmente, questo cambiamento non può passare inosservato: significa che qualcosa sta cambiando nella struttura interna della stella. Il ritmo di questo cambiamento è inoltre troppo elevato per una stella anziana, o almeno secondo gli attuali modelli di formazione stellare.  «Solo se la stella sta perdendo molta della sua massa quella (discrepanza) può essere accettata» ha commentato Nielson. Un'altra ipotesi prevede che la massa sia dispersa nello spazio sotto forma di onde, ma anche in questo caso la stella dovrebbe perdere un milionesimo della sua massa all'anno.
Secondo Turner, anche gli attuali modelli di evoluzione stellare sono in grado di spiegare questa anomalia senza ricorrere alla dispersione di enormi masse della stella. La risposta sta nell'abbassare l'età della stella stimata da Nielson, il quale ha anche ipotizzato che vi siano dei fenomeni atipici in corso fra gli strati interni della stella.
Il segreto per trovare la risposta è misurare la distanza che si separa da Polaris A. Secondo le stime più recenti effettuate dal satellite Hipparcos, si troverebbe a circa 433 anni luce da noi, dando momentaneamente ragione a Nielson. Per stabilire con certezza il vincitore, però, bisognerà attendere che l'occhio di Hubble si rivolga in quella direzione, oppure basterà aspettare l'entrata in scena del suo successore, il telescopio James Webb, che entrerà in funzione nel 2018.

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