La tavola periodica del cosmo - parte 2
«Nessuno immaginava che sarei diventato un astronomo» disse lo scienziato danese Ejnar Hertzsprung. Infatti, quando aveva vent'anni, la sua famiglia vendette tutti i suoi libri di astronomia, assieme a quelli un po' più incartapecoriti del padre. Nonostante ciò, Hertzsprung non si arrese. Nel 1908, all'età di 35 anni, ideò una versione primordiale del diagramma che porta il suo nome e dell'astronomo americano Russell. Posizionò su un quadrante di un piano cartesiano i diversi ammassi stellari allora noti, classificandoli in base alla loro luminosità e alla loro temperatura superficiale. Nel 1910 l'astronomo tedesco Hans Rosenberg, probabilmente a conoscenza del lavoro di Hertzsprung, pubblicò il grafico assieme ad altre ricerche e teorie da lui avanzate, mentre il grafico di Herztspung – identico a quello di Rosenberg – fu pubblicato assieme a molti altri nel 1911. All'epoca era ancora sconosciuto, un astrofilo più che astronomo. Al contrario, l'allora trentaseienne astronomo Henry Norris Russell era uno dei più noti in tutti gli Stati Uniti d'America. Nel 1913 pubblicò un grafico che presentava ben poche discrepanze da quello di Hertzsprung, ma gli storici confermano che non vi era mai stato contatto di alcun genere fra i due. Per la fama dell'astronomo americano, il grafico fu inizialmente chiamato «diagramma di Russel». Poco dopo al nome del prestigioso grafico si aggiunse il cognome di Hertzsprung finché, in tempi più recenti, il cognome danese fu posto prima di quello americano – completando così il diagramma Hertzsprung–Russell.
Posizionando diversi astri sul grafico, gli astronomi scoprirono inequivocabili e regolari disegni. La maggior parte delle stelle – Sole compreso – erano posizionate su una linea obliqua che andava dall'angolo in alto a sinistra (stelle roventi e sfolgoranti) fino all'angolo in basso a destra, ossia le stelle fredde e poco luminose. Questa retta, che gli astronomi chiamano Sequenza Principale, è una sorprendente scoperta, perché collega stelle apparentemente opposte. Ogni stella della sequenza principale genera fotoni nella stessa maniera: reazioni nucleari convertono l'idrogeno in elio nel nucleo della stella. Maggiore è la massa di una stella della sequenza principale, maggiore è la temperatura al nucleo e quindi maggiore la velocità di queste razioni, rendendo la stella più luminosa e calda. In compenso, idrogeno ed elio si esauriscono prima e la stella ha vita più corta.
Posizionando diversi astri sul grafico, gli astronomi scoprirono inequivocabili e regolari disegni. La maggior parte delle stelle – Sole compreso – erano posizionate su una linea obliqua che andava dall'angolo in alto a sinistra (stelle roventi e sfolgoranti) fino all'angolo in basso a destra, ossia le stelle fredde e poco luminose. Questa retta, che gli astronomi chiamano Sequenza Principale, è una sorprendente scoperta, perché collega stelle apparentemente opposte. Ogni stella della sequenza principale genera fotoni nella stessa maniera: reazioni nucleari convertono l'idrogeno in elio nel nucleo della stella. Maggiore è la massa di una stella della sequenza principale, maggiore è la temperatura al nucleo e quindi maggiore la velocità di queste razioni, rendendo la stella più luminosa e calda. In compenso, idrogeno ed elio si esauriscono prima e la stella ha vita più corta.
Si può discernere un altro gruppo stellare in alto a destra rispetto alla sequenza principale. Si tratta di stelle più luminose rispetto a quelle della sequenza principale che hanno la stessa temperatura e colore. Molte di queste stelle sono meno calde del Sole, ma sono tutte più luminose. Apparentemente questa sembra una contraddizione: se una stella è meno calda, ogni centimetro quadro dovrebbe irradiare meno luce, quindi come può una stella «fredda» (si parla sempre di 2000–5000 °C) essere mille o addirittura diecimila volte più luminosa del nostro Sole? La risposta è che queste stelle devono essere enormi – gli astronomi le chiamano giganti e supergiganti. Sono quello che le stelle della sequenza principale diventano quando esauriscono l'idrogeno nel loro nucleo. Le supergiganti spesso esplodono in supernove, mentre le giganti risolvono la questione più silenziosamente.
In realtà la loro «fine» si può dedurre dal grafico. Osservando una sottile linea diagonale sotto alla sequenza principale, notiamo alcune stelle che sono meno luminose di quelle della sequenza principale con la stessa temperatura e quindi colore. Da ciò intuiamo che sono stelle molto più piccole rispetto al Sole e sono quindi chiamate – nonostante abbiano diverse colorazioni – nane bianche. Sono il nucleo delle giganti, che rimane isolato in quanto gli strati sovrastanti collassano e vengono espulsi in una nebulosa. Quello che rimane, quindi, è il nucleo – una nana bianca. Senza «carburante», quindi, non possono vivere, e quindi si spengono molto lentamente in nane nere. Questi corpi celesti sono tuttavia ipotetici, in quanto mai osservati. Secondo gli astronomi, una nana bianca, per diventare nana nera, impiegherebbe molto più tempo dell'età attuale dell'universo stesso, e quindi non ne potrebbero ancora esistere. Tuttavia esiste un modo che permette alle nane bianche di sopravvivere: se si trovano in un sistema planetario o in un sistema binario, possono «succhiare» materia dai corpi celesti circostanti, il che permetterebbe alla nana bianca di raggiungere una massa critica ed esplodere in supernova.
Questi motivi permettono agli astronomi di fare scoperte semplicemente leggendo il grafico. Per stabilire l'età di un ammasso stellare, basta posizionare le sue stelle sul grafico. Se prendessimo le Pleiadi e le Iadi, ad esempio, ci accorgeremmo che le stelle delle Pleaidi sono tutte in alto a sinistra, dove vi sono le stelle calde e luminose; al contrario, le Iadi non possiedono queste stelle. Da ciò deduciamo che le Iadi sono più vecchie, in quanto le sue stelle calde e luminose devono essere morte nel tempo.
La tavola periodica del cosmo - parte 2
Reviewed by Pietro Capuozzo
on
27.6.11
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