Alla ricerca delle galassie perdute

Il Sole è da poco tramontato sul mare, mentre la Luna piena appare come una sfolgorante perla al centro di un mare di puntini bianchi. E' con questa immagine che io, personalmente, mi sono affascinato all'astronomia, e credo non sia stato l'unico. Ogni estate sto con i piedi nella sabbia, cullato dal suono della risacca, a naso in sù contemplando il firmamento in tutta la sua bellezza, lontano dalle fonti di inquinamento luminoso. E quando guardo quei puntini mi immagino stelle, magari con pianeti o con compagne, magari al centro di una stupenda nebulosa, oppure mi immagino galassie a spirale lontane centinaia di parsec. Di certo quello che vedo io non sono le più profonde; esse sono effigiate infatti nelle immagini dell'Hubble Ultra Deep Field, le immagini più profonde che Hubble sia mai riuscito a scattare. E in queste immagini compaiono 10 mila galassie diverse. Facendo qualche breve calcolo, mi accorgo che nell'Universo dovrebbero esserci perciò circa 200 miliardi di galassie, probabilmente di più.
A una persona non interessata all'astronomia potrebbero parere moltissime, ma gli astronomi non riescono a spiegarsi come mai sono così poche.
Dividiamo subito tutta la materia dell'Universo in due grandi famiglie: la materia che conosciamo, circa il 4%, e quella che non conosciamo o comprendiamo, circa il 96% dell'Universo. Quest'ultima è composta da materia oscura e, come si può denotare dalla percentuale, compone quasi tutta la massa dello spazio. Invece, gli astronomi comprendono il restante quattro percento, ossia materia formata da barioni (protoni, neutroni ed altri). Il computer (o qualsiasi altra piattaforma) che stai usando per leggere questo articolo, ad esempio, è fatto di barioni; il nostro idem. E ora vi starete forse chiedendo: ma dove vuoi arrivare con tutta questa meticolosa spiegazione? Beh, il fatto è che non comprendiamo neanche quel 4%.
Con questa piccola introduzione al sibillino argomento che tratteremo in questa «mini–saga», se così la vogliamo definire, ritornerei alle nostre galassie che abbiamo momentaneamente messo in disparte. Dunque, eravamo arrivati al punto in cui, secondo gli astronomi, le 200.000.000.000 galassie sarebbero pochissime. Ebbene sì, perché è come se a 10 semi piantati crescesse un solo germoglio. 
Ma com'è che sappiamo che sono troppo poche? Per rispondere a questa domanda, usufruirò delle nozioni di cosmologia e cosmogonia che gli scienziati del secolo scorso hanno scoperto. Dunque, innanzitutto bisogna calcolare la quantità di barioni presenti nell'Universo ancora giovanissimo. Potrebbe sembrare impossibile, ma in realtà basta avere a portata di mano la mappa sulla radiazione cosmica di fondo. Studiando le diverse densità, si può dedurre la quantità di barioni presenti. Un altro metodo consiste nel misurare le quantità di litio, deuterio ed elio, elementi sintetizzati nei primi attimi di vita dell'Universo in quantità direttamente proporzionali alla quantità di barioni presenti sul luogo. Dalla quantità totale si può dedurre la massa totale di quel 4%, ma qualcosa sembra non funzionare.
All'inizio, i barioni presero la forma di gas bollenti che ricoprivano tutto l'Universo. Successivamente, nelle zone a più alta densità, l'alta gravità fece collassare i barioni nelle strutture primordiali che si sarebbero poi evolute in galassie. 
Gli astronomi hanno scoperto questo serbatoio di gas analizzando la luce proveniente da un remoto quasar. Cos'é un quasar non c'interessa al momento, basta immaginarli come potentissimi fari posti sul fondo di un serbatoio di gas. Attraversando queste nubi di idrogeno, alcuni fotoni vengono assorbiti dal gas, causando così un abbassamento «rivelatore» nello spettro del quasar ad una specifica lunghezza d'onda che gli astronomi chiamano «linea di assorbimento».
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