La strada per Marte, e oltre

La NASA ha ritirato lo Space Shuttle, cancellato il programma Constellation che avrebbe dovuto rimpiazzarlo e ha dato in appalto i suoi voli orbitali. Il tutto, si spera, per tornare alle vecchie abitudini, ossia ciò che era famosa per fare – andare dove nessuno è mai stato.
In tempi recenti si è parlato a lungo di inviare equipaggi umani su Marte o su asteroidi. La NASA sta cercando soluzioni sicure, affidabili, economiche e innovative. E una di queste soluzioni potrebbe essere già pronta.
Si chiamano Damon Landau e Nathan J. Strange. Il primo è specializzato in missioni verso il sistema solare esterno, ha studiato la traiettoria della sonda Juno diretta verso Giove e ha partecipato al progetto della NASA di valutare quali asteroidi near-Earth potrebbero essere validi obiettivi per future missioni umane. Strange, invece, ha collaborato col team di navigazione della missione Cassini per mettere a punto le manovre di fionda gravitazionale con le varie lune di Saturno. Entrambi lavorano al JPL della NASA, e hanno studiato una missione verso un asteroide e verso Marte che, secondo loro, è fattibile con le tecnologie e i budget attuali.
«Avendo lavorato in un'incredibile programma di esplorazione robotica che ha esteso la nostra portata da Mercurio ai confini del sistema solare, ci siamo chiesti se potessimo trovare soluzioni tecniche ad alcune delle sfide politiche ed economiche della NASA», hanno scritto i due in un articolo apparso recentemente sul Scientific American. «Era come essere tornati alla NASA degli anni '60, senza tutto quel fumo di sigaretta».
Ciò che ha da sempre contraddistinto il programma robotico americano è l'approccio con cui viene affrontato. Non si punta il tutto per tutto verso un unico e ambizioso obiettivo: lentamente, passo dopo passo, ci si arriva, puntando su una varietà di traguardi. Chiaramente, anche il programma robotico ha avuto i suoi fallimenti e i suoi tempi duri, ma ha il vantaggio di non bloccarsi quando cambiano i venti politici o manca innovazione tecnologica.
«Il programma umano può prendere in prestito questa strategia», continuano i due ingegneri. «Non deve cominciare con un grande balzo come con l'Apollo. Può intraprendere una serie di piccoli passi, ognuno sempre più in là».
«Per alcuni, la vera lezione dell'esplorazione robotica potrebbe essere che non dovremmo minimamente inviare umani. Se l'unico scopo della NASA è scientifico, le sonde robotiche sono certamente più economiche e sicure», si legge nell'articolo di Landau e Strange. «Ma la NASA ha un compito molto più vasto del singolo aspetto scientifico; la scienza è solo una piccola parte di un più grande impulso umano per esplorare».
I due ricercatori, cercando di ideare nuove soluzioni per estendere la nostra portata, hanno scelto tre principi basilari per la loro missione.
Il primo è quello della flessibilità. Non c'è più un percorso fisso dal quale non si può uscire. Possiamo andare ovunque. Per fare ciò, ci sarà bisogno di nuove tecnologie, soprattutto a livello propulsivo.
Uno dei grandi punti a favore del modello di Strange e Landau è che le tecnologie necessarie ce le abbiamo già. A livello propulsivo, ad esempio, non abbiamo bisogno di una spinta forte e rapida: con una leggerissimo ma costante impulso, possiamo raggiungere facilmente la nostra destinazione, ma se cambiamo idea possiamo sempre rimediare in poco tempo. Un simile sistema esiste già: si tratta dei propulsori elettrici, o, più precisamente, dei propulsori ionici.
«Proponiamo l'utilizzo di un propulsore a effetto Hall [un tipo di propulsore elettrico] alimentato da pannelli solari».
Un altro grande punto a favore è che non solo queste tecnologie sono già disponibili, ma sono anche già state messe alla prova. In questo momento, infatti, un propulsore ionico sta portando la sonda Dawn verso il pianeta nano Cerere, e qualche anno fa l'aveva portata attorno all'asteroide Vesta.
«Un'idea che è emersa nella nostra prima seduta è quella di usare un rimorchiatore robotico a propulsione elettrica per lasciare dei serbatoi chimici lungo la traiettoria, come briciole di pane», scrivono i due. «Una volta che le tracce sono in posizione, gli astronauti possono avventurarsi e raccogliere i serbatoi lungo il percorso. In questo modo, le missioni avranno l'efficienza di carburante di un sistema elettrico, mantenendo il vantaggio di velocità della propulsione chimica».
La maggiore efficienza dei propulsori elettrici consente un grande risparmio a livello economico. Non avendo bisogno di molto carburante, la massa del veicolo al momento di lancio cade del 40-60%. Una delle prime regole dell'ingegneria spaziale è che la massa di solito va di pari passo al costo di lancio – ciò significa che i costi potrebbero calare di più della metà.
Il secondo principio del modello di Strange e Landau è proprio quello di cui abbiamo appena discusso: le tecnologie necessarie sono già disponibili sul mercato. In alcuni aspetti, come la protezione dell'equipaggio dalle radiazioni, dovrà essere fatta un po' di ricerca, ma tutto il resto può già essere ottenuto modificando leggermente i nostri sistemi attuali.
Il terzo principio è quello di continuare a muoversi in avanti anche quando qualcosa ha dei problemi.
«Questo principio dovrebbe essere applicato al componente più discusso dal Congresso: il veicolo di lancio che porterà l'equipaggio dalla superficie in orbita. Il Congresso ha proposto alla NASA di costruire un nuovo lanciatore pesante, lo Space Launch System. La NASA ha intenzione di costruire questo razzo in piccoli passi, partendo da metà della capacità del Saturn V dell'Apollo fino a superare la capacità di quel razzo», spiegano i due.«Il primo lanciatore SLS, più la capsula Orion, potrebbero trasportare astronauti su gite di tre settimane verso l'orbita lunare o i punti di Lagrange, ma non oltre senza lo sviluppo di nuovi sistemi».
Per fortuna, possiamo iniziare a studiare questi sistemi già ora.
«La fase di preparazione potrebbe iniziare ora con lo sviluppo delle tecnologie di supporto di vita e i sistemi di propulsione elettrica. Facendo di questi sistemi una priorità, anche mentre i nuovi razzi sono ancora in fase di sviluppo, la NASA sarebbe facilitata nel rifinire i dettagli dell'SLS, per renderlo più adatto a missioni verso lo spazio profondo».
Non bisogna per forza aspettare l'SLS, però. Una soluzione alternativa sarebbe quella di lanciare i vari componenti su razzi privati e costruire i veicoli direttamente in orbita, come abbiamo fatto per la Stazione e i suoi successori. Un simile concetto era stato proposto per assemblare l'Apollo, poiché si pensava che il Saturn V sarebbe potuto non bastare.
Assemblato il veicolo, siamo pronti a partire.
«Ironicamente, il primo viaggio è il più noioso», spiegano i due. «Per due anni, la capsula, senza equipaggio, è pilotata in remoto per seguire spirali crescenti fino all'alta orbita terrestre – una traiettoria efficiente a livello di carburante, ma troppo lunga e radioattiva per gli astronauti. Una volta che il veicolo è in posizione ai confini della sfera d'influenza della Terra, a pochi passi dallo spazio interplanetario, può effettuare flyby lunari e altre manovre per ristrutturare la sua orbita e prepararsi a una partenza efficiente. Subito dopo, gli astronauti decollano a bordo di un tradizionale razzo chimico».
La prima missione, secondo Strange e Landau, potrebbe limitarsi alla Luna. Qui gli astronauti potrebbero trascorrere molto tempo, preparandosi alle lunghe missioni interplanetarie, ma avrebbero la sicurezza della Terra a pochi passi.
Non c'è bisogno di tornare sulla Terra portandosi dietro il veicolo di crociera: conviene lasciarlo nell'alta orbita terrestre, pronto a essere rifornito e riutilizzato.
I due ingegneri del JPL hanno studiato un'ampia varietà di missioni. Alcune sono in grado di portare un equipaggio verso un piccolo oggetto largo meno di 100 metri appena oltre l'orbita lunare e tornare a casa in sei mesi, altre in due anni ci permetterebbero di visitare grandi oggetti distanti quasi quanto Marte.
«Concentrarsi solamente su una missione facile potrebbe bloccare l'esplorazione, facendo della capacità tecnologica un vicolo cieco», spiegano i due. «Analogamente, concentrarsi solo su una missione più difficile potrebbe ritardare qualsiasi significativa missione, perché gli obiettivi sono fuori portata».
Proprio per questo, l'obiettivo individuato dai due cade a metà strada. Si chiama 2008 EV5, è largo 400 metri e sembra essere di grande interesse per gli scienziati planetari. Si tratta di un asteroide carbonaceo, di tipo C, forse un relitto della primissima formazione del nostro sistema solare. Decollando nel 2024, in un anno avremmo già visitato l'asteroide e saremmo già sulla via del ritorno.
Per raggiungerlo, potremmo usare vari trucchi della meccanica orbitale, come il vecchio effetto Oberth. Questa manovra consiste nel precipitarsi dall'orbita lunare fino al nostro pianeta, passando pochi chilometri sopra l'atmosfera e acquistando una velocità incredibile. Accendendo un propulsore chimico in questo momento, con pochissimo carburante saremmo già su una traiettoria interplanetaria.
«La NASA ha ora la migliore opportunità di una generazione per rimettersi a fuoco e sviluppare nuovi tipi di veicoli spaziali per raggiungere lo spazio interplanetario», concludono i due. «Le più grandi barriere dell'esplorazione spaziale non sono tecniche, ma è questione di capire come fare di più con meno. Se la NASA progetta una sequenza incrementale di sviluppo tecnologico e missioni di ambizione sempre maggiore, l'esplorazione spaziale umana può liberarsi dalla bassa orbita terrestre per la prima volta in 40 anni ed entrare nell'era più eccitante di sempre».

Fonte: This Way to Mars, Damon Landau e Nathan J. Strange, Scientific American Dic. 2011
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