Scoperta la galassia nana più lontana mai osservata
L'anello di Einstein di B1938+666, il primo ad essere mai osservato (© immagine D. Lagattuta/W. M. Keck Observatory). |
Osservare le galassie satelliti che orbitano attorno alla nostra Via Lattea è un'impresa molto ardua anche per i telescopi più potenti. Si tratta di agglomerati stellari molto piccoli e perciò difficili da osservare. Proprio per questo, gli scienziati sono rimasti a bocca aperta quando è stata pubblicata la notizia della scoperta di una di queste galassie nane ubicata a 10 miliardi di anni luce da noi.
La scoperta è opera di alcuni scienziati guidati dall'astrofisica italiana Simona Vegetti del Massachusetts Institute of Technology (MIT). La galassia nana in questione orbita attorno alla galassia ellittica JVAS B1938+666, che – agendo da lente gravitazionale – ha permesso agli scienziati di osservare la compagna minore nascosta dietro di essa. Le osservazioni sono state effettuate tramite l'occhio infrarosso del telescopio terrestre Keck II, localizzato sull'isola di Mauna Kea, nelle Hawaii.
La luce della galassia nana è stata deformata dalla presenza della galassia ellittica supermassiccia, creando un oggetto noto come 'Anello di Einstein', che si forma solo quando i due oggetti celesti (in questo caso la galassia nana e quella ellittica) e l'osservatore sono perfettamente allineati. La luminosità, la forma e le dimensioni di questo anello dipendono dalla distribuzione della massa nella galassia che agisce da lente gravitazionale.
La luce della galassia nana è stata deformata dalla presenza della galassia ellittica supermassiccia, creando un oggetto noto come 'Anello di Einstein', che si forma solo quando i due oggetti celesti (in questo caso la galassia nana e quella ellittica) e l'osservatore sono perfettamente allineati. La luminosità, la forma e le dimensioni di questo anello dipendono dalla distribuzione della massa nella galassia che agisce da lente gravitazionale.
Per rilevare la presenza della galassia nana, Simona Vegetti e il suo team hanno dovuto elaborare complicati modelli numerici sulla massa della galassia maggiore, considerando anche gli effetti provocati da corpi esterni posti sul percorso galassia–Terra. L'unico modo per spiegare i risultati ottenuti con il modello era aggiungerci una galassia nana satellite, la cui presenza è poi stata confermata da un altro modello. Solo così hanno potuto stabilire con ottima precisione la massa della galassia maggiore e la forma della galassia nana.
«Questa galassia satellite è eccitante perché è stata rilevata grazie ad una mappa di massa nonostante la sua massa esigua» ha commentato Robert Schmidt del Centro di Astronomia presso l'Università di Heidelberg. «Una domanda che può venire in mente è se le galassie satellite possono essere osservate direttamente, e non solo grazie ai loro effetti gravitazionali su un altro oggetto. Con le tecnologie odierne, la risposta è no. L'oggetto è semplicemente troppo distante per essere fotografato direttamente. Ma il messaggio qui è che è possibile scovare questi oggetti sfuggevoli senza sapere dove poterli trovare» ha scritto Schmidt in un articolo comparso su quest'edizione di Science. L'articolo è collegato a quello della scoperta della galassia nana, anch'esso presente sull'edizione odierna di Science.
Gli astronomi pensano che questi corpi celesti siano diffusissimi nel nostro Universo: dato che galassie come la nostra sono nate da scontri tra galassie minori, è probabile che ve ne siano in giro moltissime che si devono ancora fondere. Eppure, ad oggi ne conosciamo ben poche, il che ci fa pensare che siano fin troppo deboli per essere osservate o che siano composte quasi del tutto da materia oscura. Anche le regioni attorno alla nostra Via Lattea dovrebbero prosperare sotto questo punto di vista: i modelli attuali prevedono la presenza di oltre 10 mila galassie satelliti nane, anche se per ora ne conosciamo solamente una trentina.
«Queste galassie satelliti potrebbero essere composte da materia oscura, rendendole difficili da rilevare, o potrebbe esserci un problema nel modo in cui pensiamo che le galassie si formino» ha commentato la Vegetti.
Un intrigante mistero, la cui risposta potrebbe aprire nuovi orizzonti sulle nostre conoscenze sull'Universo.
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