La Stele di Rosetta dei Buchi Neri

Quasi tutti voi avrete sentito parlare almeno una volta dei buchi neri supermassicci. Sono buchi neri enormi che risiedono al centro delle galassie più massicce, che divorano tutto quello che li capita a portata di mano – anche la luce. Proprio un mese fa erano stati scoperti i due buchi neri più massicci mai osservati (che, nella nostra classifica delle scoperte astronomiche più rilevanti del 2011, si sono piazzati quinti), con masse decine di miliardi di volte quella del nostro Sole. Se numeri simili non vi impressionano, pensate che 10 miliardi di masse solari corrispondo a circa circa 3 biliardi di masse terrestri (un 3 seguito da 15 zeri), 10 bilioni di masse gioviane (un 10 seguito da 12 zeri) e 0,2 trilioni di masse lunari. Non siete ancora stupiti?
I buchi neri sono oggetti di cui sappiamo solo una frazione infinitesimale su tutto quello che c'è da sapere su questi misteriosissimi corpi celesti. Sui buchi neri supermassicci sappiamo ancora di meno.

Attorno ad essi ruotano numerosi enigmi: perché quasi ogni galassia massiccia ne ha uno nel proprio nucleo? dov'è che hanno trovato tutto quel 'cibo' per diventare così massicci? si sono formati quando la galassia c'era già, oppure erano solitari e, con il loro potentissimo campo gravitazionale, hanno attratto stelle e pianeti, formando una nuova galassia?
Inoltre, questi buchi neri gargantueschi sono stati osservati anche quando l'Universo era giovanissimo, circa 13 miliardi di anni fa. Allora, l'Universo aveva solamente 770 milioni di anni, pari a circa il 5,6% della sua età attuale. Com'è che hanno fatto questi buchi neri a diventare così grandi in così poco tempo? La risposta è ancora da definirsi, ma qualche passo nel cammino per trovare la soluzione l'abbiamo già fatto.
Innanzitutto, partiamo dalle basi: i buchi neri sono così chiamati perché difatti non li possiamo vedere. Se avete stampato questo articolo e lo state leggendo sulla carta, potete vedere le singole lettere perché i raggi di luce impattano con il vostro foglio e rimbalzano, arrivando ai nostri occhi. La luce non può fare così con i buchi neri: una volta che ci impatta contro, non riesce a tornare indietro, perché il campo gravitazionale esercitato dal buco nero è fin troppo potente anche per la luce. I buchi neri potrebbero essere verdi, arancio o rosa, o potrebbero veramente essere dei buchi che, tramite dei ponti ipotetici nello spazio–tempo noti come wormholes, sono collegati ad un altro genere di buchi, i buchi bianchi, l'esatto opposto. Dunque vi chiederete: com'è che sappiamo che esistono? Ci sono molti modi per osservarli. Innanzitutto, il materiale che sta per essere risucchiato si riscalda ed emette potentissime radiazioni, prima di oltrepassare l'orizzonte degli eventi, il nome tecnico del 'punto di non–ritorno'. I buchi neri espellono inoltre molto materiale, rendendoli facilmente osservabili. Esiste anche un altro metodo, valido solo per i buchi neri supermassicci nel nucleo di una galassia: le stelle che percorrono strane e velocissime orbite attorno al nucleo della propria galassia suggeriscono infatti la presenza di un buco nero gigante. Per determinare la massa di un buco nero, invece, gli astronomi hanno bisogno di due parametri: il tempo impiegato dal materiale interstellare per orbitare il buco nero e l'ampiezza della loro orbita.
Torniamo ora all'ultima domanda che ci siamo posti: com'è che hanno fatto questi buchi neri a diventare così grandi in così poco tempo? «I fisici hanno calcolato che un buco nero che risucchia la materia circostante costantemente ed al ritmo più elevato possibile raddoppia la propria massa ogni 50 milioni di anni» ha commentato Jenny E. Greene, autrice di un articolo comparso su quest'edizione del Scientific American da cui ho preso 'ispirazione' per questo articolo. «Ma questo è troppo lento perché un 'seme' di buco nero con poche masse stellari cresca in un mostro con miliardi di masse solari in meno di un miliardo di anni».
A questa domanda, che in sostanza è la base di questo articolo, gli astronomi hanno avanzato due modelli teorici che, secondo loro, forniscono una valida spiegazione. Il primo prevede che questi buchi neri supermassicci si formino così presto perché, in un certo senso, 'partono avvantaggiati'. Secondo il primo modello, infatti, questi buchi neri enormi si formano da una supernova generata da una stella di prima generazione. Cosa intendiamo per «stella di prima generazione»? Intendiamo, letteralmente, le prime stelle che si sono formate, le antenate delle stelle che vediamo oggi. Queste stelle antichissime, secondo gli scienziati, erano mediamente enormi rispetto a quelle di oggi, perché non possedevano gli elementi che 'restringono' le stelle moderne, dato che non c'erano nel brodo primordiale che ha dato origine a tutto, ma sono comparsi più tardi sulla scala temporale dell'Universo. Quindi, già alla nascita, questi buchi neri dovevano essere grandi. A questo punto, può sorgere un dubbio: ma se sono nati da delle stelle, e le stelle vivono 10 miliardi di anni, com'é che questi buchi neri esistevano già a 700 milioni di anni? Per fortuna, a questa domanda gli astronomi hanno saputo dare una risposta: più grande è una stella, più corta sarà la sua vita. Questo perché esaurisce gli elementi necessari alla fusione nucleare che avviene nel suo nucleo più in fretta, in quanto ha una superficie maggiore da alimentare. Comunque, in un certo senso, se vi siete posti questo dubbio non avete tutti i torti: in effetti, seppur supermassicce, le stelle di prima generazione non possono aver vissuto così poco e, se anche lo avessero fatto, i buchi neri gargantueschi non potrebbero essersi evoluti in poche migliaia di anni. Partendo da questa considerazione, gli astronomi hanno pensato ai modelli più estremi, fra cui la teoria che questi buchi neri nascessero nel nucleo di enormi ammassi stellari, così che avessero più 'cibo' a disposizione per accrescersi in così poco tempo.
Nonostante ciò, questo primo modello sembra molto improbabile. Per fortuna, ne abbiamo un secondo, 'di scorta. Questo secondo modello ignora totalmente la presenza delle stelle: i buchi neri sarebbero infatti nati direttamente da una nube di gas interstellare. Questo modello ci elimina un sacco di tempo: i buchi neri nascevano infatti molto più in fretta, e anche già abbastanza massicci, in quanti le nubi di gas erano gigantesche. «Questo tipo di collasso diretto non avviene nel nostro Universo oggigiorno, ma le condizioni erano diverse quanto l'Universo era giovane» ha continuato Greene.
Attualmente, Hubble è il nostro telescopio più potente: il suo «deep field» (le immagini di stelle più antiche mai ottenute da un telescopio) è antichissimo, ma non abbastanza da poter osservare la formazione di questi buchi neri. Forse, il suo successore, il James Webb Space Telescope (JWST), potrebbe farci osservare questi buchi neri supermassicci e antichissimi, ma dovremo attendere almeno fino al 2018.
A causa di questa complicazione, gli astronomi hanno trovato un modo alternativo per studiarli: osservare i 'semi' dei buchi neri che, per qualche ragione a noi ignota, non si sono sviluppati più di tanto nel corso del tempo. Così facendo, potremo anche vedere quale dei due modelli di formazione è corretto: se ne trovassimo molti di questi semi, il primo modello sarebbe corretto; al contrario, se scoprissimo che questi semi sono rari nell'Universo, potrebbe aver ragione il secondo modello. Inoltre, secondo il primo modello, questi semi dovrebbero essere ubicati ovunque nella galassia – dato che le stelle di prima generazione possono morire ovunque – e dovrebbero avere masse variabili fra le 100 e le 100 mila masse solari, mentre, secondo il secondo modello, questi semi dovrebbero avere più 100 mila masse solari, in quanto il collasso diretto di nubi interstellari  garantisce un massa elevata già alla nascita.
«Gli astronomi hanno allora iniziato a perlustrare i cieli alla ricerca di un nuovo tipo di buchi neri, né di masse stellari (ossia di poche masse solari), né di super-masse (ossia supermassicci), ma una via di mezzo: i cosiddetti buchi neri peso–medio» ha proseguito la Greene. «Cosa significa 'pesi–medi'? Intendiamo un buco nero con una massa stimata tra i 1000 e i 2 milioni di soli». A prima vista, questa classificazione può sembrare fin troppo 'multietnica', ma in realtà esclude i buchi neri più piccoli (come quello con sole 3,5 masse solari scoperto poche settimane fa) e quelli più grandi (come quello di 4 milioni di masse solari che risiede al centro della nostra galassia). A prima vista sembrerebbe che tutto va bene, ma in realtà stabilire la massa di un buco (che si ottiene con il procedimento che vi abbiamo spiegato nella prima parte) è estremamente difficile e possiamo sbagliarci anche di molto.
Gli astronomi hanno determinato che i buchi neri massicci si trovano più frequentemente in due tipi di galassie: quelle a spirale come la nostra o ellittiche come Virgo A, la più grande del nostro ammasso. In queste galassie, quando c'è un buco nero massiccio c'è quasi sempre un nucleo ellittico che lo contiene. Fra buchi neri e nuclei esiste un misterioso legame: sembra infatti che il buco nero sia sempre un millesimo della massa del nucleo che lo contiene. In sostanza, se la massa del nucleo è 1000 masse solari (molto improbabile), il buco nero avrà una massa solare pari a 1 (impossibile), mentre, se il nucleo possiede 10 mila masse solari, il buco nero ne possederà 10, dato che 10.000:1.000 = 10. Questa strana formula è valida in tutti i buchi neri trovati al centro della propria galassia, e non ha ancora una spiegazione. Gli astronomi sono però riusciti a dedurre qualcosa da questa formula: se vogliamo trovare un buco nero 'peso–medio', dobbiamo cercare nelle galassie più piccole.
Nel 1995, Luis C. Ho dell'Istituto Carnegie analizzò oltre 500 galassie per la sua tesi di laurea. Facendo ciò, confermò la legge che abbiamo detto sopra: perché un buco nero massiccio risieda al centro di una galassia, ha bisogno di un nucleo. Tutte le galassie da lui analizzate confermarono questa legge, tutte tranne una: NGC 4395. Questa galassia non aveva un nucleo, ma aveva comunque un buco nero al proprio centro. Ho non fu inizialmente in grado di misurare la massa del buco nero, perché era troppo piccola. Nel 2003, lui e un'équipe guidata da David C. Shih dell'Università di Cambridge arrivarono contemporaneamente al medesimo risultato: il buco nero aveva una massa compresa tra le 10 mila e le 100 mila masse solari. Nel 2006, Bradley M. Peterson dell'Università dello Stato dell'Ohio e il suo team giunsero ad un risultato più preciso grazie al telescopio spaziale Hubble: il buco nero di NGC 4395 aveva 360 mila masse solari. Si scoprì così il primo buco nero 'peso–medio' della storia.

Poco dopo la scoperta del primo buco nero 'peso–medio', quello di NGC 4395, gli astronomi ne scoprirono un altro, nel 2002. Fu scoperto nel centro della galassia sferoidale POX 52 da Aaron J. Barth, che per le osservazioni usò il telescopio hawaiiano Keck II. «Barth inviò il nuovo spettro di POX 52 a Ho, che lo confrontò immediatamente con quello di NGC 4395» ha proseguito la Greene. «Lo spettro dei due oggetti era talmente simile che Ho non poteva dire quale appartenesse ad uno e quale all'altro». Era chiaro che gli astronomi avevano davanti agli occhi un altro buco nero 'peso–medio'.
Stabilire la sua massa fu una vera impresa, dato che la POX 52 dista da noi venti volte la distanza tra la Terra e NGC 4395. Gli astronomi dovettero ricorrere a metodi molto più complessi di quello che vi abbiamo illustrato nella Parte 1, e tutti giunsero ad un risultato più o meno simile: 100 mila masse solari, circa un terzo di NGC 4395, ma sempre abbastanza da essere considerato un buco nero 'peso–medio'. «I buchi neri 'pesi–medi' nelle galassie senza nucleo ora formavano una classe di due alunni» ha scritto la Greene nel suo articolo. Ovviamente, neanche Einstein o chi per lui sarebbe in grado di appurare una legge dell'astrofisica basandosi su solo 2 elementi su una popolazione ben maggiore.
Nel 2004, la Greene e Ho – che allora era il relatore della Greene – analizzarono oltre 200 mila spettri raccolti nel progetto Sloan Digital Sky Survey. Il risultato? Trovarono 19 candidati a buchi neri 'pesi–medi', incrementando di quasi 10 volte gli alunni di questa classe. Nuove analisi sempre basate su questo fantastico catalogo di spettri hanno rivelato poco meno di 40 nuovi candidati.
60 oggetti sono veramente pochi, tanto che gli astronomi hanno stimato che esiste un buco nero 'peso–medio' ogni due mila galassie. «Nonostante ciò, le ricerche dello Sloan potrebbero mancare molti buchi neri» ha proseguito la Greene. «Si basano solamente sulla luce ottica, e nubi di polvere interstellare potrebbero nascondere molti buchi neri dai nostri occhi».
Analizzando questi buchi neri 'peso–medio', gli astronomi hanno forse scoperto la causa della proporzione fra buchi neri e i nuclei delle galassie che li ospitano che abbiamo spiegato nella parte 2 di questa mini–serie di articoli. Infatti, secondo un modello teorico recentemente sviluppato, le galassie che ospitano buchi neri massicci al loro centro sarebbero frutto di numerose collisioni galattiche, in cui i buchi neri si sono uniti tra loro dando origine ad un gigantesco buco nero. Le stelle si sono allora raggruppate in una sorta di sfera contenente il buco nero, che si sono così evoluti pari passo: se uno raddoppiava di massa, anche l'altro faceva di conseguenza, e viceversa.
Analizzandoli, hanno anche dato un giudizio momentaneo ai due modelli di formazione che vi abbiamo illustrato nella parte 1. Il vincitore? Per ora è il secondo modello, perché il primo prevedeva buchi neri con masse di circa 10 mila soli, ma non sembra proprio che questa affermazione sia corretta. Inoltre, riferendoci ai buchi neri supermassicci presenti nell'Universo giovanissimo (vedi parte 1), è più 'comodo' pensare che siano già nati avvantaggiati in termini di massa, risparmiando così molto tempo su una scala temporale ristretta in termini astronomici.
Naturalmente, nuove osservazioni potrebbero cambiare radicalmente le nostre teorie, ma tutto è ancora da vedere.
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